Il film “Mi faccia causa” è la perfetta occasione per approfondire il reato di corruzione in atti giudiziari, uno dei capi di imputazione del famoso caso di cronaca che coinvolge, tra gli altri magistrati, il Dott. Palamara.
La trama del film è sulla pagina FB dello studio a questo link.

Il reato è contenuto nel codice penale all’art. 319 ter se i fatti contenuti nei due articoli precedenti sono commessi per danneggiare o favorire una parte in un procedimento giurisdizionale e viene punito con una pena di reclusione da 6 a 12 anni, aggravata se dal fatto deriva una ingiusta condanna di qualcuno.

Al reato è assoggettato anche il privato “corruttore”, quindi rispondendo al primo quesito, nel caso di imputazione per “De Sica” ed il mafioso, il processo sarebbe per entrambi.

Il bene giuridico, ossia l’interesse costituzionale protetto dalla norma, è l’imparzialità dei giudici ed il corretto svolgimento del sistema giudiziario.
Dal punto di vista della condotta esso riprende, anche per espresso richiamo letterale, quella della corruzione “semplice”.
Esso consiste nel famoso pactum sceleris, ossia il patto a delinquere, tra privato e il pubblico ufficiale atto a stabilire un atto contrario ai doveri d’ufficio di quest’ultimo oppure un atteggiamento passivo, ossia di un mancato compimento di un atto “dovuto”.

Chiaramente, a differenza della corruzione semplice, ciò che cambia è il fine, ossia quello di alterare il corso di un processo penale, di una causa civile o di un processo amministrativo, con un danno per la parte esclusa da questo patto.

Come capire quando l’atto è contrario ai doveri d’ufficio?
Giurisprudenza costante, a riguardo, ha stabilito che ciò che deve guardarsi non è il contenuto dell’atto in se, bensì la modalità con la quale esso è stato deciso, ossia il condizionamento avuto in cambio della promessa o della dazione di denaro o altra utilità (si pensi, ad esempio, ad una raccomandazione per un figlio) che ovviamente ha coartato la formazione del consenso e della volontà alla base della decisione del pubblico ufficiale.

Dal punto di vista psicologico, per tale reato è richiesto il dolo specifico, e questo particolare tipo di dolo può essere riconosciuto ogni volta che un reato contenga le parole “al fine di”.
Come intuibile, i due soggetti, pubblico e privato, devono stringere il patto, promettersi il “favore” in cambio del “favore” (atto contrario ai doveri d’ufficio in cambio di denaro o altra utilità), immaginandosi proprio che tale patto abbia ricadute sul procedimento giurisdizionale in corso, a danno, ovviamente, della parte “onesta”.

Ma il Pretore De Sica del film, quindi, sarebbe perseguibile?
Ricordiamo che il mafioso gli mette, inconsapevolmente, una busta gialla contente denaro in tasca, sulla scorta del fatto che la sua condanna gli ha fornito l’alibi che lui ricercava per l’ora ed il luogo di altro e più grave delitto.
Tecnicamente, quella vista nel film, sarebbe una corruzione susseguente, ossia la remunerazione di atti già compiuti.

Sul punto, dopo un contrasto giurisprudenziale, la Sezioni Unite della Corte di Cassaazione ha statuito che effettivamente è punibile anche chi accetta del denaro per un atto già compiuto.
Quindi il Pretore intepretato da De Sica è colpevole?

Se avete prestato attenzione alla prima parte di questo articolo per non addetti ai lavori avete la risposta.
Manca, infatti, il pactum sceleris, ossia mai i due si sono accordati per una decisione invece che un’altra e la volontà e la formazione del consenso del Pretore è stata in effetti libera da condizionamenti.

Il Pretore De Sica potrà, con un buon Avvocato, essere assolto.

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